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L’Aberrometria è un esame essenziale per valutare la reale qualità della vista di un paziente. Questo esame diagnostico permette infatti di evidenziare la presenza di eventuali “aberrazioni” oculari, cioè di anomale alterazioni delle strutture dell’occhio (in particolare di cornea, cristallino, umor acqueo e corpo vitreo) che causano deviazioni e distorsioni dei raggi luminosi e fanno sì che l’immagine che si forma sulla retina non sia della massima qualità possibile.
Una persona che soffre di tali aberrazioni, pur avendo un’acuità visiva di 10/10, può infatti lamentare vista sfocata o altri problemi visivi. L’aberrometria viene effettuata tramite una speciale apparecchiatura detta aberrometro. Questo apparecchio è nella maggior parte dei casi costituito da un topografo corneale collegato ad un computer con apposito software ed è volto a misurare le alterazioni della sola cornea. Per esami ancora più approfonditi vengono utilizzati aberrometri che aiutano ad evidenziare la presenza di aberrazioni oculari totali.
L’esame è fondamentale per tutti quei pazienti che devono sottoporsi ad un intervento di chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri in quanto permette di “personalizzare” al massimo l’intervento, migliorando la resa finale. L’aberrometria è un esame rapido e del tutto indolore, non invasivo in quanto non vi è alcun contatto con l’occhio del paziente. Non è necessario l’utilizzo di colliri preparatori, l’unico accorgimento è quello di evitare l’utilizzo di lenti a contatto nelle 48 ore prima dell’esame.
L’Anisometria è una possibile complicazione legata potenzialmente a tutti i problemi di refrazione, è una condizione nella quale vi è una grande differenza nel difetto refrattivo tra i due occhi.
Può trattarsi di gradazioni diverse dello stesso difetto o della presenza, nello stesso soggetto, di difetti refrattivi diversi.
L’Astigmatismo è una condizione dovuta ad una deformazione della cornea: le immagini, a qualunque distanza, appaiono indistinte, schiacciate e distorte lungo una certa direzione che dipende da quella dell’asse dell’astigmatismo. Normalmente la cornea ha una forma sferica; nell’occhio astigmatico, invece, essa presenta un profilo ellissoidale (ovale). Essendo, dunque, la curvatura della cornea irregolare, non uniforme, i raggi luminosi provenienti dagli oggetti non vengono rifratti ugualmente in tutte le direzioni, ma cadono su piani diversi tra loro rispetto alla retina.
L’astigmatismo può essere classificato in diverse tipologie:
È un difetto di refrazione che non si può prevenire, ma può essere facilmente diagnosticato con un esame oftalmologico completo e trattato mediante l’impiego di occhiali, lenti a contatto o attraverso un trattamento chirurgico. La correzione dell’astigmatismo infatti è facile e con le tecniche di oggi (Laser a eccimeri o impianto di lenti toriche) è possibile eliminare questo difetto, e i difetti associati, in modo definitivo.
Esistono diverse tecniche di chirurgia refrattiva per la correzione efficace dell’astigmatismo, come il laser a eccimeri utilizzato nella tecnica Lasik, e PRK/Lasek. Quando non si può intervenire con la tecnica Laser, si procede con un impianto di lenti intraoculari, di solito lenti toriche. Si può correggere non solo l’astigmatismo, ma anche gli altri disturbi visivi connessi quali la miopia, l’ipermetropia o la presbiopia.
La Blefarofimosi o più comunemente nota come sindrome dell’occhio piccolo è una patologia oculare caratterizzata da una malformazione della palpebra. Chi ne soffre ha un occhio o entrambi gli occhi più piccoli sia a livello orizzontale che verticale con conseguente ridotta capacità visiva.
La patologia infatti altera in modo più o meno grave il meccanismo di apertura e chiusura delle palpebre, rallenta la guarigione di eventuali infiammazioni e può giungere fino al punto di intralciare la visione. Negli adulti normali, l’apertura delle palpebre orizzontale generalmente misura circa 0,98 a 1,18 pollici, mentre in quelli affetti da blefarofimosi, misura circa 0,78 a 0,86 pollici. Spesso la blefarofimosi è uno degli effetti della BPES, cioè “Blepharophimosis, ptosis, e epicanthus inversus syndrome”, una malattia genetica rara, spesso congenita cioè presente dalla nascita.
L’occhio della persona affetta da blefarofimosi è penalizzato da una serie concomitante di fattori:
La blefarofimosi si sviluppa per due diverse tipologie di cause:
Un intervento di oculoplastica è la soluzione ideale per la cura della blefarofimosi, specie per quella congenita; al momento infatti non esistono alternative terapeutiche di sostanziale parità di efficacia. Il beneficio più importante che apporta l’intervento è il miglioramento funzionale dell’occhio seguito da quello estetico. L’intervento chirurgico, effettuato già in tenera età, prevede di intervenire in due tempi separati: il primo intervento viene eseguito tra i 2 e 3 anni del paziente e consiste in una cantoplastica mediale, con correzione simultanea del telecanto e delle pieghe epicantali; successivamente, tra i 4 e 5 anni, si interviene sulle palpebre superiori alzandole con una tecnica di sospensione al frontale con fascia lata. Al termine dei due interventi il difetto è molto meno visibile e la correzione chirurgica permette ai pazienti il normale svolgersi dell’attività scolastica e ricreativa.
Il Breakup time test (BUT) è un test utile pervalutare la qualità della produzione lacrimale, cioè il tempo di rottura del film lacrimale.
Questo semplice ma essenziale test clinico analizza il tempo che intercorre tra un ammiccamento, cioè la rapida chiusura e riapertura della palpebra, e (mantenendo le palpebre aperte) la formazione di piccole aree asciutte nel film lacrimale pre-corneale. Se questo tempo è inferiore ai 10 secondi viene considerato anormale.
Il break-up time test viene eseguito tramite l’utilizzo di un apparecchio detto biomicroscopio; previa apposizione di un liquido di contrasto come la fluoresceina nel sacco congiuntivale del l’occhio del paziente, il biomicroscopio osserva e misura quanti secondi impiega il velo di lacrime sulla superficie della cornea ad interrompersi, togliendo quindi protezione e lubrificazione alla stessa.
Le lacrime sono un elemento essenziale per la salute oculare. Se infatti di le ghiandole deputate alla produzione lacrimale non secernono più liquido a sufficienza o secernono lacrime troppo acquose, povere di componenti mucose, l’occhio può andare incontro a seri danni:
Il Calazio è causato da un’infiammazione (flogosi granulomatosa) di una ghiandola di Meibomio, il cui dotto escretore risulta ostruito.
Tale infiammazione è un processo cronico i cui sintomi sono generalmente lievi, se si esclude la sensazione di peso palpebrale o di fastidio per la presenza di “qualcosa” sull’occhio.
Il calazio si distingue in tre diverse tipologie a seconda della localizzazione:
In alcuni casi più calazi possono comparire contemporaneamente, si tratta in questo caso di calaziosi.
Il trattamento a base di pomate antibiotiche non ha mai determinato effetti regressivi, l’unica vera soluzione risulta quindi l’asportazione chirurgica. Si possono portare le lenti a contatto, ma se coesiste una blefarite può risultare molto fastidioso.
La Cataratta è una opacizzazione del cristallino, il sintomo più comune della cataratta è la vista annebbiata o sfuocata (riduzione del visus).
Da un punto di vista epidemiologico, rappresenta la principale causa di cecità nel mondo e una delle principali cause di cecità legale nei Paesi industrializzati.
La classificazione della cataratta avviene sia in base all’età di insorgenza, sia in base alla localizzazione e sia in base alla presentazione obiettiva. Per tale motivo distinguiamo:
A seconda della sede di insorgenza della cataratta vengono distinte in:
Dal punto di vista clinico, a seconda del progressivo grado di diminuzione del visus, si distinguono in:
Dal punto di vista istopatologico si osserva, sia una denaturazione delle proteine costitutive (α-β-γ-cristalline) con conseguente perdita della classica forma elicoidale, sia la presenza di depositi di sostanze metaboliche frutto del turn-over cellulare. Questi due processi sono alla base della perdita di trasparenza del cristallino.
La sintomatologia legata a tutte le tipologie di cataratta, salvo caratteristiche proprie ad ogni singola entità clinica, è caratterizzata dalla totale asintomaticità, fino ad arrivare ad una diminuzione, anche importante del visus. Essendo comunque un processo con caratteristiche evolutive, in linea generale, salvo alcuni tipi di cataratta congenita, il sintomo principale è una diminuzione progressiva della vista.
L’unica terapia in grado di correggere i difetti causati dalla cataratta è quella chirurgica, rimuovendo il cristallino opacizzato e sostituendolo con uno artificiale trasparente. Grazie al laser a Femtosecondi si è messo a punto una nuova metodica detta Femtocataratta. La precisione e rapidità di intervento ottenibile con la femtocataratta non ha eguali.
L’occhio operato con il laser, inoltre, presenta condizioni ideali per ricevere cristallini artificiali ad ottica complessa, adatti a correggere difetti visivi quali astigmatismo e presbiopia.
Non tutti i pazienti possono essere sottoposti a questo tipo di intervento, per cui è sempre necessario sottoporsi ad una visita preoperatoria per verificare quale sia la metodica più adatta.
Il paziente non deve essere spostato da una sala all’altra, ma tutto l’intervento viene eseguito nella medesima sala per garantire un maggiore comfort e sicurezza del paziente. Dopo la fase con il femtolaser che “distrugge” il cristallino opacizzato e indurito, si procede alla rimozione dei frammenti e poi inserimento di un nuovo cristallino.
La fase successiva dell’intervento consiste nell’inserimento del cristallino artificiale sostitutivo detto IOL ossia lente intraoculare. Questa viene posizionata all’interno della capsula ripulita e si adagia in essa, rimanendo sospeso nell’occhio dietro all’iride e davanti al vitreo.
Il potere della IOL viene calcolato prima dell’intervento chirurgico e si sceglie la lente che renderà l’occhio senza difetti di refrazione.
Si possono correggere sia la miopia che l’ipermetropia e solo con le lenti di ultima generazione simultaneamente la visione per lontano e per vicino (IOL multifocali). È possibile che dopo l’intervento il paziente abbia bisogno di una correzione con occhiale.
Le principali complicanze dell’intervento di cataratta tradizionale sono rappresentate da una riduzione della densità di cellule endoteliali della cornea con rischio di perdita di trasparenza corneale (scompenso corneale endoteliale) e da capsulotomie poco precise che rendono più difficoltoso un corretto posizionamento della lente intraoculare e il risultato visivo postoperatorio.
L’intervento di cataratta eseguito con il laser a femtosecondi consente di ridurre significativamente l’energia ultrasonica e quindi la conseguente perdita di cellule endoteliali in virtù della preframmentazione del nucleo e garantisce capsulotomie sempre perfette che consentono un corretto impianto della lente intraoculare. Questo riveste particolare importanza nel caso di impianto di lenti intraoculari ad elevata tecnologia (le cosiddette lenti premium) che permettono di associare alla correzione dei difetti sferici (miopia ed ipermetropia) anche la correzione di astigmatismo e presbiopia, riducendo significativamente la necessità di utilizzo di occhiali da lontano e da vicino dopo l’intervento.
Con il termine di Cheratiti si definiscono i processi flogistici, di tipo infettivo o infiammatorio, che interessano la cornea con i seguenti sintomi: iperemia, fotofobia, lacrimazione e frequente dolore. Il sintomo più rilevante di una cheratite è la comparsa sulla cornea di un’area grigiastra a margini sfumati, nel caso di sede superficiale, mentre la comparsa di un’ampia area tondeggiante opalescente di edema corneale segnala l’interessamento infiammatorio dell’endotelio.
In base ai sintomi sopra descritti le cheratiti si possono dunque suddividere in:
I sintomi (fotofobia, lacrimazione, dolore) possono aggravarsi rapidamente mentre sulla cornea compare un infiltrato bianco corneale che tende a svilupparsi in superficie e in profondità.
La terapia topica a base di colliri dovrà essere in genere affiancata ad una a base di antibiotici per via orale.
La Congiuntivite Batterica è una delle più comuni patologie dell’occhio ed è causata da un processo infiammatorio batterico a carico della congiuntiva. È caratterizzata da un’iperemia (aumento della quantità del sangue) della congiuntiva e da una conseguente reazione sottoepiteliale con formazione di leucociti, linfociti, plasmacellule e fibrina la cui quantità dipende dallo stadio dell’infiammazione. La presenza di determinati microrganismi può scatenare la formazione di membrane, follicoli, granulomi ed ulcere.
Il trattamento terapeutico della congiuntivite batterica prevede l’impiego di antibiotici, in particolare di streptomicina. Per ognuna delle forme sopra descritte è fondamentale l’aspetto profilattico, onde evitare l’eventuale contagio; è inoltre un utile accorgimento non bendare l’occhio ma di lasciarlo il più possibile scoperto.
Tra le congiuntiviti batteriche ricordiamo infine il tracoma (una infezione della congiuntiva e della cornea, causata dalla Chlamydia trachomatis) che si sviluppa in condizioni di particolare scarsità di igiene ed in condizioni di miseria; anche in questo caso il trattamento farmacologico prevede l’uso di antibiotici e sulfamidici.
Il Campo visivo si può definire come la porzione di spazio che un occhio, posato su un punto fisso, riesce a percepire davanti a sé. E’ evidente che una riduzione del campo visivo dai parametri definiti normali (circa 60° nasalmente, 50° superiormente, 90° temporalmente e 70° inferiormente) indica una modificazione più o meno estesa e/o più o meno profonda della sensibilità retinica e può essere sintomo di patologie oculari anche gravi.
L’analisi del campo visivo, detta Campimetria, è dunque fondamentale per evidenziare la corretta funzionalità della retina e valutare l’eventuale presenza di lesioni alle vie nervose che si originano da questa sezione dell’occhio. La campimetria viene oggi effettuata tramite apparecchiature computerizzate che consentono una diagnosi estremamente accurata.
E’ un esame rapido (circa 15- 20 minuti per occhio), assolutamente non doloroso e che non necessita anestesia. Al paziente viene chiesto di porsi di fronte ad un apparecchio detto campimetro. Si tratta di una semicupola illuminata tenuamente sul cui sfondo bianco vengono proiettati, come dei piccoli flash, stimoli luminosi di varia forma ed intensità. Il medico copre un occhio del paziente e gli chiede di fissare con l’altro occhio un punto situato nel mezzo della zona bianca del campimetro; ogni volta che il paziente vede le lucine deve azionare un pulsante. Dopo aver analizzato analogamente anche l’altro occhio, tutte le zone, viste e non, vengono indicate in un tracciato che è subito esaminato dal medico.
Il CVC (Campo Visivo Computerizzato) è un esame fondamentale per la diagnosi di glaucoma, una grave patologia degenerativa del nervo ottico, di malattie a carico della retina come la retinopatia ipertensiva e anche di alcune patologie del cervello che limitano il campo visivo.
La Dacriocistite è un’infiammazione del sacco lacrimale solitamente di natura secondaria rispetto ad altri processi infiammatori che interessano il meato nasale medio o le vie lacrimali. L’agente batterico che dà avvio al processo infiammatorio delle forme acute è in genere lo stafilococco piogeno, mentre quello delle forme croniche è lo pneumococco.
I sintomi della dacriocistite sono una lacrimazione copiosa ed iperemia, cioè aumento della quantità di sangue, congiuntivale. Nei casi di dacriocistiti croniche il sintomo più evidente a carico del sacco lacrimale è l’edema palpebrale, diffuso e dolente, ed un rialzo termico. L’alterazione delle vie lacrimali determina processi flogistici che inducono complicanze come la congiuntivite catarrale o la cheratite. Le dacriocistiti possono acutizzarsi quando il ristagno della secrezione purulenta è più accentuato. La tumefazione che caratterizza questi casi diventa fluttuante e possono verificarsi fuoriuscite di materiale purulento.
La terapia spesso richiede un intervento chirurgico o l’asportazione del sacco lacrimale. Per ristabilire la capacità di conduzione delle vie lacrimali occorre invece eseguire un sondaggio con una piccola sonda metallica nel puntino lacrimale inferiore, associato ad un’irrigazione a base di soluzioni antisettiche.
L’Ecografia oculare è un esame diagnostico che permette di analizzare a fondo le strutture dell’occhio. In particolare:
Assieme alla tomografia computerizzata (TC) e alla risonanza magnetica (RM), l’ecografia oculare è l’unico esame che permette di visualizzare il contenuto orbitario ed è quindi essenziale per diagnosticare con certezza patologie anche gravi come i tumori intraoculari e lesioni di vario genere: lesioni dei muscoli extraoculari, del nervo ottico nel tratto infraorbitario, della ghiandola lacrimale e lesioni orbitarie vascolari e non.
L’esame è effettuato tramite l’utilizzo degli ultrasuoni: il paziente viene fatto sdraiare su un lettino e gli viene messo del gel sopra le palpebre chiuse. Il medico passa con delicatezza sopra le palpebre una sonda dotata di un cristallo piezoelettrico che “esplora” in profondità i tessuti molli all’interno del bulbo oculare o dell’orbita e riporta un’immagine osservabile su schermo.
Si distinguono due tipi di ecografia oculare:
L’ecografia non è un esame doloroso, non comporta alcun rischio di danneggiamento all’occhio e può essere ripetuto con frequenza per monitorare la progressione o regressione di una patologia.
L’Esoftalmo o più comunemente conosciuto come la sindrome dell’occhio sporgente è una patologia che determina un’eccessiva protrusione, cioè sporgenza, del bulbo oculare. Nella sua condizione normale il bulbo oculare risiede nell’orbita che, formata da pareti ossee, è indeformabile. Tuttavia un anomalo ingrandimento del contenuto orbitario può determinare la sporgenza del bulbo al di fuori della cavità orbitale; la protrusione viene misurata in millimetri con un apposito strumento chiamato “esoftalmometro di Hertel”.
L’esoftalmo può colpire uno o entrambi gli occhi causando non solo un disagio di tipo estetico, ma dando soprattutto origine a problemi visivi quali diplopia (la visione doppia di uno stesso oggetto causata da disallineamento dei due assi visivi), cheratiti, ulcerazioni e altri danni congiuntivali, spesso assai dolorosi. L’eccessivo ingrandimento e la conseguente sporgenza del bulbo fanno sì infatti che le palpebre superiori non riescano a chiudersi perfettamente per coprire e proteggere l’occhio.
La causa dell’esoftalmo risiede in un’alterazione del volume del contenuto orbitario. Tale alterazione a sua volta può essere determinata da diversi fattori. I più comuni sono:
Proprio l’ipertiroidismo è una delle cause più frequenti di sviluppo di esoftalmo. L’eccessivo funzionamento della tiroide porta infatti ad un aumento del volume dei muscoli dell’occhio (causato dell’edema e dal grasso retro-obitario), che genera a sua volta l’esoftalmo oltre ad altri segni caratteristici della patologia. L’esoftalmo da ipertiroidismo presenta tipicamente due fasi:
Data la molteplicità di fattori scatenanti l’esoftalmo è necessario agire di volta in volta sulle cause primarie dell’alterazione del volume del contenuto orbitario. Alla visita oculistica si devono dunque affiancare visite mediche con altri specialisti e, nel frattempo, possono essere utilizzate lacrime artificiali per fornire sollievo sintomatico e proteggere la cornea esposta. Solo nel caso dell’esfotalmo da ipertiroidismo, o quando la malattia progredisce rapidamente e la compressione orbitaria crea dei danni al nervo ottico che possono causare la perdita irreversibile della funzionalità visiva, è necessario ricorrere all’intervento chirurgico.
Questo tipo di intervento viene definito di decompressione orbitaria e consiste nell’aumentare il volume dell’orbita andando a ridurre il volume della parete mediale e di quella inferiore (che formano la scatola orbitaria). Praticato in regime di day surgery e senza la formazione di cicatrici visibili, l’intervento consente di recuperare un aspetto del viso molto più naturale senza occhi gonfi ed eccessiva apertura palpebrale.
La Fluoroangiografia (FAG) è l’esame a cui ci si deve sottoporre in caso di sospette patologie vascolari come le retinopatie ipertensiva e diabetica, le trombosi, le ischemie o altri processi infiammatori che coinvolgono la retina o le strutture sottostanti. Questo esame consente infatti di studiare le modalità con le quali avviene la circolazione attraverso i vasi sanguigni della retina, della coroide e di tutte le altre sezioni della parte posteriore dell’occhio. Permette quindi di stabilire se i vasi sanguigni dei distretti oculari analizzati possiedono una grandezza normale, se vi sono vasi sanguigni di neoformazione o dall’aspetto anomalo e se il sangue che giunge in queste zone oculari è appropriato oppure insufficiente per causa, ad esempio, di un ostacolo che impedisce un flusso sanguigno normale.
Sebbene del tutto indolore e rapido (l’esame dura circa 15-30 minuti), la fluoroangiografia spesso causa apprensione nel paziente in quanto comporta un’iniezione endovenosa di un liquido di contrasto dalle capacità fluorescenti. Una volta che tale liquido di contrasto (fluoresceina o indocianina) si è diffuso anche nei vasi sanguigni della retina e delle strutture limitrofe, il paziente viene posto di fronte ad uno speciale apparecchio fotografico detto retinografo che emette una luce blu o infrarossa; tale luce stimola le capacità fluorescenti del liquido di contrasto che circola nei vasi sanguigni della retina e delle zone limitrofe e permette così di evidenziare dettagliatamente le strutture interne dell’occhio.
La Fluoroangiografia, esclusi i rarissimi casi di reazione allergica al liquido di contrasto, è un esame che non presenta rischi; la lieve colorazione giallastra della cute e delle urine scompare nel giro di 24/48 ore e il liquido di contrasto viene normalmente smaltito per via renale.
Il Glaucoma colpisce l’occhio distruggendo lentamente la vista. In Italia ne soffrono circa due milioni di persone, la maggior parte delle quali ignora di esserne affetta. Il glaucoma è una malattia che colpisce il nervo ottico, fascio di fibre nervose che trasmette gli impulsi elettrici derivati da stimoli visivi al cervello ed è causato da un continuo aumento della pressione intraoculare. Molto spesso il glaucoma non causa alcun sintomo e ci si accorge della sua presenza soltanto quando la vista è ormai compromessa. Nell’occhio colpito da glaucoma il deflusso dell’umore acqueo è ostacolato: il liquido si accumula e la pressione intraoculare comincia a salire. Dopo qualche tempo si produce una compressione o uno schiacciamento del nervo ottico con conseguente danno e morte delle fibre nervose.
Il glaucoma colpisce soprattutto gli over 40 e la sua incidenza, superiore al nord, aumenta all’aumentare dell’età (oltre i 60 anni il rischio di glaucoma è doppio, oltre i 70 anni aumenta fino a cinque volte). Esistono alcuni fattori di rischio che possono aumentare la probabilità di sviluppare la malattia quali:
Se il glaucoma viene riconosciuto e trattato in tempo la persona può conservare la vista per il resto della vita. Le attuali opzioni terapeutiche permettono infatti di controllare la malattia evitando il peggioramento del glaucoma. Purtroppo però, tutte queste “cure” non sono efficaci al punto di restituire la vista perduta.
Il glaucoma è fondamentalmente distinto in:
Da un punto di vista patogenetico, nel glaucoma ad angolo aperto l’incremento della pressione intraoculare è causato dall’aumento delle resistenze nelle vie di deflusso, mentre in quello ad angolo chiuso l’ostruzione al deflusso è dovuta alla chiusura dell’angolo della camera anteriore da parte della radice iridea.
Il fattore di rischio più importante per il glaucoma è l’età, oltre ad eventuali fattori ereditari. Superati i 40 anni è quindi consigliabile effettuare, anche in assenza di sintomi, una visita oculistica completa. Alcuni esami devono essere ripetuti ad intervalli regolari per riconoscere precocemente un segno di glaucoma. La diagnosi è semplice quando la malattia si manifesta nella sua classica triade (ipertono, deficit perimetrici, atrofia con escavazione della papilla) in occhio con angolo camerulare normalmente ampio.
Nella maggior parte dei casi tuttavia l’unico segno obiettivo rilevabile nelle fasi iniziali è un valore del tono oculare superiore ai 21 mmHg, pertanto, la tonometria riveste un ruolo di peculiare importanza per porre diagnosi di glaucoma. Fondamentale per la diagnosi è anche l’esame del campo visivo, che può essere effettuato con la perimetria manuale, usando il perimetro di Goldmann, o con la perimetria computerizzata. Attualmente la perimetria computerizzata rappresenta l’esame di scelta sia per la diagnosi che per il follow-up dei pazienti glaucomatosi, grazie all’utilizzo di un software specifico.
Il trattamento del glaucoma si basa sulla riduzione della quantità di umore acqueo all’interno dell’occhio, abbassando quindi la pressione endooculare tramite farmaci, con terapia laser o chirurgia. La terapia medica del glaucoma ad angolo aperto si avvale dei seguenti farmaci: betabloccanti, miotici, inibitori dell’anidrasi carbonica ed analoghi delle prostaglandine. Nel caso in cui la terapia medica non abbia effetto, si procede alla terapia chirurgica.
L’intervento più diffuso è la trabeculectomia, intervento fistolizzante che ha lo scopo di creare una via artificiale di deflusso grazie al quale l’umor acqueo fuoriesce dalla camera anteriore, riempie lo spazio sottocongiuntivale, formando la cosiddetta bozza filtrante, e viene riassorbito dal tessuto e
dai vasi congiuntivali. Questo intervento è caratterizzato dalla presenza di una lamella di sclera che, coprendo l’apertura bulbare, crea una barriera all’eccessivo deflusso di acqueo ed all’ingresso di agenti patogeni e minimizza le complicanze.
L’ Ipermetropia è un errore di messa a fuoco che provoca la vista sfocata da vicino e, a partire da una certa età, anche da lontano. In caso di ipermetropia, l’immagine viene messa a fuoco dietro la retina. È possibile correggerla con diversi trattamenti Laser e tornare a vedere bene da subito.
L’ipermetropia colpisce la maggior parte dei bambini appena nati, ma durante la crescita tende a correggersi. Infatti, nei soggetti giovani è possibile che non si manifesti nessuna riduzione dell’acuità visiva, in quanto l’occhio compensa il deficit grazie alla capacità naturale di accomodazione e messa a fuoco (il cristallino incrementa la sua potenza aumentando spessore e curvatura, come risultato della contrazione dei muscoli). In ogni caso, il continuo sforzo accomodativo potrebbe provocare stanchezza oculare, bruciore, prurito agli occhi, nausea e mal di testa. Nel caso dei pazienti di età superiore ai 40 anni, l’ipermetropia potrebbe confondersi con la presbiopia o vista stanca, un’alterazione della vista che avviene quando il cristallino diminuisce la sua capacità di accomodazione, ossia perde elasticità, avanzando progressivamente con l’età. La visita oculistica, dunque, è molto importante per una corretta diagnosi.
Prima di ogni intervento, il paziente dovrà sottoporsi a diversi esami oftalmologici che aiuteranno a stabilire qual è la tecnica chirurgica più adeguata ad ogni singolo caso. Grazie a questo intervento il paziente potrà correggere il difetto refrattivo e tornare a vedere in modo nitido, senza dover più utilizzare gli occhiali o le lenti a contatto.
Nel paziente ipermetrope l’immagine è confusa, in quanto i raggi luminosi convergono dietro alla retina e non direttamente su questa, come accade in un occhio normale o emmetrope (senza gradazione). Ciò accade perché il bulbo oculare del soggetto che soffre di questo disturbo è leggermente più corto del normale oppure perché la potenza ottica del cristallino o della cornea è minore. L’ipermetropia può essere associato anche all’astigmatismo e in questo caso si parla infatti di astigmatismo ipermetropico. I sintomi e le cause dell’ipermetropia sono diversi, per questo è consigliabile fare attenzione a cali della vista, soprattutto nei bambini, e sottoporsi a regolari controlli oculistici.
Utilizziamo diverse tecniche di chirurgia refrattiva per l’operazione dell’ipermetropia: Lasik, PRK / Lasek. In questo caso viene utilizzato il laser a eccimeri per rimodellare la superficie oculare. Quando non è possibile intervenire con il laser, si opta per la chirurgia intraoculare, vale a dire l’inserimento di lenti intraoculari, dette anche lenti fachiche.
La Miopia è un difetto di rifrazione (o ametropia) così come l’ipermetropia e l’astigmatismo. I difetti refrattivi colpiscono una larga parte della popolazione, in media 2 persone su 5. Nella miopia i raggi luminosi provenienti da un oggetto situato all’infinito vanno a fuoco davanti alla retina a causa di una lunghezza eccessiva del bulbo oculare o di una cornea troppo curva. Come conseguenza di ciò, l’immagine degli oggetti lontani che si forma nell’occhio risulta indistinta, mentre la visione degli stessi a breve distanza è chiara e definita.
La persona miope per correggere il proprio difetto visivo deve utilizzare lenti negative (sotto forma di occhiali o lenti a contatto) che hanno effetto divergente e consentono di spostare indietro il punto di concentrazione della luce, neutralizzando l’eccessiva curvatura corneale.
Oltre alle lenti il paziente miope può ricorrere anche alla chirurgia rifrattiva (o refrattiva). La chirurgia refrattiva consente di intervenire su un difetto di rifrazione in 3 modi:
Queste particolari lenti intraoculari impiantate chirurgicamente (IOL fachiche) somigliano a delle lenti a contatto e vengono posizionate tra la cornea (la superficie chiara che ricopre l’occhio) e l’iride (la parte colorata dell’occhio) o appena dietro l’iride. Questi impianti costituiscono oggi la terapia maggiormente efficace e consigliata alle persone che cercano una correzione permanente alla miopia.
Introdotta negli anni ’90, la terapia con laser ad eccimeri si è diffusa molto rapidamente. Il laser applicato sulla cornea vaporizza istantaneamente il tessuto (fotocheratectomia) con altissima precisione e rimodella la superficie corneale anteriore. A seconda delle modalità di accesso abbiamo la:
Attualmente la miopia può essere trattata e corretta con successo grazie a diversi trattamenti. Fra i più utilizzati troviamo la tecnica Lasik, il laser PRK/Lasek o l’impianto di lenti intraoculari, al quale si ricorre quando il paziente non può essere sottoposto a tutte le altre tecniche. Per questo, durante la prima visita, il medico oculista sottoporrà il paziente a vari esami e valuterà l’intervento più adatto a seconda del singolo caso. La tecnica Laser Lasik è quella più utilizzata al mondo grazie alla sua rapidità di esecuzione, l’efficacia dei risultati che si possono ottenere e a un decorso post operatorio semplice. Il trattamento inoltre è assolutamente indolore e il giorno stesso dell’intervento la persona può tornare a casa e iniziare a vedere i primi miglioramenti della vista già a poche ore dall’intervento.
L’Orzaiolo è un ascesso situato nella zona del bordo palpebrale dovuto all’infezione di una ghiandola. L’orzaiolo si definisce:
La zona interessata è comunque sempre annessa al bulbo pilifero.
Il trattamento dell’orzaiolo si effettua mediante l’applicazione di impacchi caldi nella zona colpita dall’infezione o, nei casi più gravi, con l’incisione del bordo palpebrale. Dal punto di vista farmacologico la terapia consiste nella applicazione di pomate o colliri antibiotici.
La Pachimetria corneale ad ultrasuoni è un esame essenziale per i pazienti che necessitano di misurare lo spessore della cornea.
Questa importantissima sezione dell’occhio ha la forma di una calotta semisferica trasparente e costituisce la lente più potente dell’apparato visivo; ha infatti la funzione di permettere il passaggio della luce verso le strutture interne dell’occhio, facendo convergere i raggi luminosi verso la fovea.
La cornea viene considerata nella norma se nella sua parte centrale presenta uno spessore di poco superiore a mezzo millimetro; in caso di variazioni da questi parametri si possono ipotizzare patologie oculari anche importanti come il glaucoma, l’edema corneale ed altre malattie della cornea come il cheratocono.
A differenza della pachimetria ottica, questo esame utilizza onde sonore ad alta frequenza per misurare lo spessore della cornea. Non è doloroso o invasivo: al paziente viene instillato un collirio anestetico per evitare qualsiasi sensazione di fastidio, secondariamente il medico appoggia per pochi secondi sulla superficie corneale una sonda, simile ad una piccola penna, che, a seconda della densità e dello spessore della cornea, riflette le onde sonore in modo diverso, permettendo così al software di ricostruire lo spessore di questa zona dell’occhio.
L’esame dura in genere solo pochi minuti e non va ripetuto nel corso della vita, perché lo spessore corneale è un parametro che, salvo nel caso di una patologia come il cheratocono, non tende a modificarsi significativamente.
La Pachimetria ottica è un esame oculare volto a determinare lo spessore della cornea il cui valore normale, nella zona centrale, è compreso tra i 520 – 540 micron.
La conoscenza dello spessore corneale è un parametro estremamente utile in casi diversi:
Rapida, non dolorosa e non invasiva in quanto non c’è alcun contatto con la superficie oculare, la Pachimetria ottica no contact può essere effettuata da pazienti di qualsiasi età, senza necessità di istillare un collirio anestetico.
Viene eseguita poggiando il mento e la fronte su un’apposita mentoniera e tramite un tomografo ottico (OCT ) il medico oculista acquisisce in pochi secondi lo spessore corneale di tutta l’area.
L’uso scorretto di lenti a contatto può indurre a diverse complicanze e degenerazioni oculari. Tra le più comuni si segnalano:
La terapia farmacologica varia a seconda della tipologia e gravità del problema; in generale le lesioni corneali non permettono di continuare ad usare le lenti a contatto, si consiglia infatti di sospenderne l’impiego.
La Pinguegola è una formazione bianco-giallastra, leggermente in rilievo, situata sulla congiuntiva in corrispondenza dell’apertura palpebrale. Questa escrescenza, non tumorale e quindi innocua, si genera a causa di un’alterata nutrizione da parte dei vasi sanguigni e linfatici che innesca un processo degenerativo a carico della congiuntiva. La pinguegola compare principalmente nei soggetti anziani e nelle persone che si espongono in maniera continuativa ad agenti atmosferici come luce, aria o polvere senza la protezione di occhiali. Si elimina con una asportazione chirurgica.
I Potenziali Evocati Visivi (PEV) vengono definiti come “le variazioni dei potenziali bio-elettrici della corteccia occipitale evocati da stimoli visivi. Sono quindi la manifestazione di raffinati e complessi eventi neurosensoriali legati a fenomeni di trasduzione e di trasmissione dell’impulso nervoso lungo le vie visive, cioè dai fotorecettori retinici fino alla corteccia cerebrale occipitale”.
L’analisi dei Potenziali evocati visivi (PEV) rappresenta un importante strumento elettrofisiologico per la diagnosi e lo studio di patologie neurologiche a livello del nervo ottico, delle vie ottiche e della corteccia visiva.
L’esame dei PEV consiste nella registrazione degli impulsi elettrici generati dalle strutture nervose che dalla retina si propagano fino all’area visiva del cervello in seguito a stimoli visivi.
Concretamente al paziente vengono applicati sul cuoio capelluto e sulla nuca degli elettrodi, in corrispondenza della regione della corteccia visiva, ossia quella parte del cervello che raccoglie le informazioni visive in arrivo dalla retina.
Gli viene chiesto di porsi di fronte ad un monitor sul quale si alternano dei quadrati a scacchiera bianca e nera e di segnalare le variazioni; la quantità di tempo che intercorre fra lo stimolo visivo e il segnale rilevato dalle apparecchiature in grado di registrare l’attività elettrica del cervello del paziente indica l’integrità del nervo ottico, quindi la capacità di conduzione degli stimoli nervosi.
La Presbiopia è un difetto della messa a fuoco da vicino che dipende dall’invecchiamento fisiologico dei tessuti dell’occhio. Colpisce in genere dopo i 40 anni di età ed è dovuto all’invecchiamento della nostra lente naturale, il cristallino che perde la sua elasticità e, con essa, la sua capacità di accomodazione.
L’occhio normale quando è a riposo si adatta alla visione da lontano. Nel momento in cui l’occhio deve focalizzarsi su oggetti vicini, come, ad esempio, leggere un libro, il display del telefono o il menù del ristorante, deve mettere a fuoco, compiendo uno sforzo conosciuto come accomodazione. Questo sforzo viene compiuto dal cristallino.
Con la presbiopia si ha difficoltà a leggere da vicino. Si prevede che oltre la metà della popolazione sarà affetta da presbiopia nei prossimi anni a causa dell’incremento dell’aspettativa di vita e per il progressivo invecchiamento della popolazione.
Lo Pterigio è una patologia della superficie oculare caratterizzata dalla crescita anomala della congiuntiva sul lato nasale della cornea. La protuberanza si origina generalmente a partire dalla congiuntiva per finire con l’apice giallastro verso il centro della cornea. La patologia colpisce in prevalenza i maschi adulti sottoposti all’azione di fattori irritativi esterni per motivi professionali (marinai, agricoltori, addetti ai forni ecc.).
Non esiste una vera e propria terapia per la cura dello pterigio. In alcuni casi si può ricorrere alle infiltrazioni di cortisone, ma il trattamento definitivo è assicurato solo da un intervento chirurgico. Dopo l’intervento è necessario usare colliri a base antibiotica.
La Ptosi palpebrale è la condizione in cui una o entrambe le palpebre sono abbassate in maniera eccessiva rispetto al livello normale, arrivando addirittura a coprire in parte o del tutto l’iride.
Questo cedimento strutturale causa notevoli danni alla persona: da un punto di vista estetico il viso appare stanco e precocemente invecchiato, lo sguardo offuscato e triste; da un punto di vista funzionale l’abbassamento della palpebra riduce parzialmente – o nei casi più gravi di totale chiusura completamente – il campo visivo della persona. Inoltre, specie nei casi di ptosi congenita, il rischio di sviluppare ambliopie o strabismo è molto alto.
Infine, quando la ptosi è molto accentuata, l’occhio interessato può diventare pigro e per un meccanismo di compensazione autoescludersi dalla vista. Ne consegue che si può passare da una visione binoculare ad una visione monoculare. La ptosi può coinvolgere uno (ptosi monolaterale) od entrambi gli occhi (ptosi bilaterale).
Le cause che possono portare alla ptosi palpebrale sono molteplici e vengono di norma raggruppate in diverse categorie:
L’intervento chirurgico è al momento il solo in grado di risolvere il problema. Non esistono infatti cure preventive o trattamenti farmacologici in grado di eliminare la ptosi. L’operazione consiste in un accorciamento del muscolo elevatore; il suo riposizionamento nella posizione naturale deve essere associato all’operazione di blefaroplastica senza la quale non è possibile ottenere il risultato ottimale.
La scelta dipende dalle condizioni del paziente e dall’età. Nel caso di ptosi congenite si consiglia ad esempio di operare molto precocemente: l’intervento è effettuabile verso il 3°- 4° anno di età, con eccezione di quei casi in cui un serio rischio di ambliopia impone di anticipare l’intervento entro l’anno di età. Naturalmente ogni ptosi deve essere studiata e valutata, appurandone le cause e determinando lo stato di salute dell’occhio sottostante prima di procedere con l’intervento.
Quando un paziente è affetto da ptosi palpebrale la prima cosa da stabilire è se è presente dalla nascita (cioè congenita) oppure se è comparsa con il tempo (cioè acquisita). Si tratta di una distinzione fondamentale per una corretta prognosi e non sempre è così semplice da stabilire. Vecchie fotografie del paziente possono aiutare l’oculista nell’identificare la tipologia di ptosi.
Per ptosi palpebrale si intende un anomalo abbassamento della palpebra superiore o inferiore di uno o entrambi gli occhi. Nel più comune caso di ptosi superiore, la palpebra viene a coprire in parte o totalmente la pupilla, l’iride e altre parti dell’occhio per cui la visione può risultare fortemente limitata. Inoltre, se presente in forma abbastanza grave, la palpebra cadente può causare nei bambini altri disturbi, come l’ambliopia, la cosiddetta sindrome dell’“occhio pigro” che consiste nella scarsa visione in un occhio dovuta ad un mancato sviluppo del normale sistema visivo durante la prima infanzia. Oltre a costituire un danno dal punto di vista estetico la ptosi palpebrale è dunque un problema da risolvere per riacquisire la piena funzionalità visiva.
Nel caso sia congenita, cioè presente nella persona affetta fin dalla nascita, la ptosi palpebrale può essere determinata da diversi fattori:
Nei casi di ptosi lievi, il trattamento consigliato è quello di effettuare regolarmente specifici esercizi oculari volti a rafforzare i muscoli deboli e correggere il problema. Alternativamente possono essere utilizzate soluzioni non chirurgiche, come l’uso di occhiali “stampella” o di speciali lenti a contatto sclerali ideate per sostenere la palpebra.
Nei casi invece di ptosi grave l’unica via percorribile è quella chirurgica. Previa accurata visita per verificare le condizioni del paziente (età, grado della ptosi, funzionalità del muscolo elevatore, misurazione della capacità visiva ed esame del fondo oculare), il chirurgo procede all’intervento può essere di due tipi:
L’intervento si può eseguire anche in età pediatrica e i risultati sono di norma sempre molto soddisfacenti. La durata, che varia a seconda del tipo di intervento, è da 1 ora alle 2 ore circa. Nei bambini si svolge generalmente in anestesia generale, nell’adulto invece si preferisce un’anestesia con sedazione, o solo un’anestesia locale. Rigonfiamenti palpebrali con lividi sono del tutto naturali e spariscono dai 7 ai 14 giorni circa dopo l’intervento.
Nell’anatomia oculare si definisce pupilla l’orifizio circolare nero situato al centro dell’iride attraverso cui penetra nell’occhio la luce. La caratteristica delle pupille, che nella norma hanno uguale ampiezza nei due occhi, è quella di dilatarsi o restringersi a seconda delle condizioni di luce: quando infatti si è in presenza di poca luce l’occhio fa fatica a catturarla per cui la pupilla, grazie all’apparato muscolare dell’iride, si allarga per cercare di captarne il più possibile. Quando invece si è in presenza di troppa luce, per evitare un abbagliamento, le pupille si restringono.
Nel caso un paziente debba sottoporsi ad un intervento di chirurgia refrattiva per la cura di miopia, ipermetropia o astigmatismo o vi sia la necessità di rimuovere la cataratta, è fondamentale che esegua prima dell’intervento una pupillometria. Questo esame, volto a misurare il diametro della pupilla e la sua risposta agli stimoli luminosi, è infatti necessario al chirurgo per valutare l’idoneità della pupilla del paziente al trattamento ed evitare eventuali fastidi post-operatori come gli aloni notturni e i fenomeni di abbagliamento. La pupillometia si esegue con uno specifico apparecchio chiamato pupillometro, spesso associato ai topografi corneali. Al paziente viene chiesto di sedersi di fronte allo strumento che rileva le misure della pupilla in diverse condizioni di luce. Del tutto indolore, rapida (circa 20 secondi per occhio) e assolutamente non invasiva, la pupillometia non necessita alcuna preparazione o utilizzo di colliri.
Si può definire la Retinografia come una “fotografia” a colori ad alta definizione di tale “fundus”, in particolare della retina.
Essenziale per le persone che soffrono di diabete, ipertensione e altre patologie sistemiche che richiedono una valutazione periodica delle condizioni della retina, la retinografia si effettua ponendo nell’occhio del paziente un collirio midriatico per dilatare la pupilla.
Grazie ad uno strumento detto retinografo, un particolare apparecchio fotografico collegato ad un biomicroscopio, al paziente viene realizzata una fotografia che mette in luce eventuali occlusioni venose o arteriose retiniche ed altre problematiche vascolari a livello della retina che possono essere il segnale di patologie anche gravi quali:
L’acquisizione dell’immagine retinica è molto rapida e del tutto indolore; è dunque buna norma, specie se si sospetta di soffrire di una delle patologie sopra elencate, sottoporsi con regolarità all’esame.
La Retinopatia diabetica è un grave quadro patologico in cui i piccoli vasi sanguigni della retina vengono alterati dalla costante elevata glicemia. Questi capillari possono lasciar trasudare liquidi (edema), sangue (emorragie) o possono ostruirsi (ischemie) con conseguenze anche gravi sulla capacità visiva. La retinopatia diabetica è la maggior causa di cecità negli adulti tra i 20 ed i 60 anni. Dopo 15 anni di malattia, il 40% dei diabetici presenta alterazioni della microcircolazione retinica, prima ancora che i pazienti se ne rendano conto. La gravidanza, l’ipertensione arteriosa e il fumo possono peggiorare il quadro. La diagnosi e il trattamento precoce della retinopatia diabetica possono prevenire la perdita della vista.
Nella fase iniziale della retinopatia diabetica possono non esserci sintomi. È molto importante però non aspettare di aver problemi per farsi visitare. Rapidi cambiamenti dei valori glicemici, anche in assenza di una retinopatia evidente, possono comportare transitori annebbiamenti della vista. Se la macula, che è la parte centrale e più nobile della retina, si riempie di liquido (edema) e sangue, a causa della malattia diabetica, la visione si offusca più seriamente e il recupero visivo è più difficile anche dopo il trattamento.
Se invece si vedono improvvisamente punti neri, corpi mobili o un completo annebbiamento nel campo visivo, potrebbe trattarsi di un sanguinamento interno dovuto alla crescita di nuovi vasi sanguigni anormali e fragili che perdono liquido e sangue, a livello retinico e del nervo ottico. Questa fase è nota come retinopatia diabetica proliferante.
È importante farsi visitare con urgenza se si nota un peggioramento della vista perdurante più di qualche giorno, e non associato a uno sbalzo glicemico.
La diagnosi di retinopatia diabetica può essere fatta esclusivamente da un oculista, mediante:
L’OCT è un ecografo che ha sostituito gli ultrasuoni con una luce laser. La quantità di informazioni raccolte dal raggio riflesso sul fondo dell’occhio è straordinariamente superiore: riesce a riconoscere strutture delle dimensioni di 7 millesimi di millimetro (7 micron); infine una fluorangiografia retinica (FAG) può essere raccomandata, soprattutto nei casi controversi.
La fluorangiografia comporta l’iniezione di un mezzo di contrasto nel braccio e lo scatto di fotografie del fondo oculare per vedere la distribuzione del colorante fuori dai vasi danneggiati. Molto raramente possono verificarsi fenomeni allergici. Le donne diabetiche in stato interessante devono consultare un oculista entro il primo trimestre, poiché la retinopatia può peggiorare rapidamente durante la gravidanza.
In caso di Retinopatia non proliferante e in presenza di edema maculare il trattamento classico è la fotocoagulazione laser, con pattern a griglia o focale, volta a ridurre l’edema, contenere l’andamento della malattia e ripristinare la funzione visiva. In caso di edema della macula clinicamente significativo (CSME) si può intervenire con iniezioni intravitreali di farmaci in grado di bloccare il vascular endothelial growth factor (VEGF), una molecola che partecipa allo sviluppo anormale dei vasi sanguigni. Il trattamento per la Retinopatia non proliferante con aree ischemiche prevede un’accurata ed estesa fotoablazione. In presenza di sanguinamenti intraoculari (emovitreo) e distacco trazionale della retina il trattamento è la vitrectomia.
Lo Strabismo è un difetto visivo determinato dalla mancata convergenza degli assi visivi dei due occhi. A causa cioè di una mancanza di coordinamento tra i muscoli oculari, gli occhi non riescono ad orientare lo sguardo sullo stesso obiettivo, dando origine al caratteristico “sguardo storto”. Lo strabismo viene distinto a seconda della direzione di uno o entrambi gli occhi rispetto al punto di fissazione:
Lo strabismo è determinato da un malfunzionamento dei muscoli oculari estrinseci. Tale malfunzionamento è a sua volta causato da diversi fattori quali:
In altri casi invece lo strabismo è la conseguenza di vizi refrattivi non corretti, (l’ipermetropia ad esempio determina frequentemente strabismo convergente), mentre nel caso di strabismo congenito non è legato ad altre alterazioni oculari.
Correggere lo strabismo è molto importante, non solo a fini estetici ma funzionali. Questo difetto infatti ostacola la corretta visione binoculare (cioè quel meccanismo sensoriale che consente, guardando con due occhi, di vedere sempre una sola immagine) e può influenzare negativamente la percezione della profondità.
Nell’adulto, l’insorgenza dello strabismo provoca una visione doppia (= diplopia) in quanto il cervello, abituato ad utilizzare le immagini provenienti da entrambi gli occhi, non è in grado di eliminare l’immagine dell’occhio deviato. Il risultato è un costante senso di disorientamento e vertigini.
Nei bambini invece lo strabismo è strettamente collegato all’ambliopia, la cosiddetta sindrome “dell’occhio pigro”, una condizione caratterizzata da una ridotta acuità visiva da un occhio anatomicamente normale. I trattamenti più comuni per la correzione dello strabismo sono:
Il Test di Schirmer è fondamentale per quantificare se la secrezione lacrimale è adeguata. Questo si esegue posizionando due striscioline millimetrate di carta assorbente nel fornice congiuntivale del paziente; si attende circa 5 minuti e si misura la porzione di strisciolina inumidita dalle lacrime. Al di sotto un certo valore (meno di 10 mm) si definisce l’occhio come secco, per cui è necessario ricorrere ad una terapia sostitutiva.
Il Test di Schirmer è inoltre utile per diagnosticare una disfunzione lacrimale da ridotta produzione causata anche da altre patologie non oculari come il Lupus Eritematoso Sistemico, l’Artrite reumatoide e la Sindrome di Sjogren o per cause iatrogene legate all’assunzione di farmaci.
L’esame non comporta alcun rischio per il paziente e non è doloroso sebbene talvolta, in caso di pazienti particolarmente sensibili, si preferisca instillare un anestetico locale nell’occhio prima di inserire la carta da filtro per evitare la lacrimazione “riflessa”, dovuta all’effetto irritante della carta. L’uso dell’anestetico assicura che venga misurata solo la secrezione “basale” delle lacrime.
La Tomografia ottica computerizzata (OCT), o Tomografia ottica a radiazione coerente, è un esame diagnostico non invasivo che permette di ottenere delle scansioni corneali e retiniche molto precise, in grado di analizzare nel dettaglio gli strati della cornea, della regione centrale della retina denominata macula e del nervo ottico.
Fondamentale per la diagnosi e il monitoraggio di numerose malattie della cornea e della retina come ad esempio la degenerazione maculare senile, la retinopatia diabetica ed il glaucoma, l’OCT è un esame estremamente utile nella diagnosi preoperatoria e nel follow-up postoperatorio della gran parte delle patologie oculari che necessitano di un intervento chirurgico.
Basata sull’interferometria a luce bianca o a bassa coerenza (un fascio laser privo di radiazioni nocive che viene impiegato per analizzare le strutture oculari soprattutto retiniche e corneali mediante sezioni ad alta risoluzione), questa metodica avanzata è inoltre molto utile nei casi di edema maculare di varia origine. Trattandosi di un esame digitalizzato consente inoltre di mettere a confronto gli esami eseguiti nel tempo dal paziente, fornendo delle mappe differenziali.
La tomografia ottica computerizzata (OCT) è in grado di misurare lo spessore delle fibre nervose che circondano il nervo ottico evidenziando, in alcuni casi, un’alterazione precoce delle stesse in presenza di un campo visivo normale permettendo di iniziare tempestivamente una terapia per rallentare la progressione della patologia.
Non è dolorosa e non è pericolosa; è un esame non invasivo, non a contatto, innocuo. L’esecuzione è semplice e dura circa 10-15 minuti per occhio. Il paziente è seduto di fronte all’apparecchiatura ed è invitato dall’operatore a fissare un segno luminoso: la scansione parte nel momento in cui viene messa a fuoco la struttura oculare da analizzare.
Con l’avvento degli strumenti OCT di ultima generazione l’esame può essere effettuato anche senza la dilatazione della pupilla, previa valutazione da parte dell’operatore medico sanitario, delle caratteristiche oculari e del tipo di patologia che si vuole indagare.
La topografia corneale è un esame che permette di studiare la forma e alcune caratteristiche ottiche della cornea.
La topografia corneale consente di misurare la curvatura della superficie della cornea, costruendo una mappa colorata in cui ogni colore corrisponde a una curvatura più o meno accentuata. I colori freddi corrispondono ai punti più piatti, mentre quelli più caldi a curvature maggiori.
Prima di sottoporsi a topografia corneale è necessario non utilizzare lenti a contatto per almeno 2-3 giorni.
La topografia corneale è un esame di screening utile a tutti, in particolare è indicata per chi è affetto da cheratocono (di cui permette di valutare la gravità) e per i pazienti che devono essere sottoposti a chirurgia refrattiva o che hanno già affrontato un intervento con il laser. E’ inoltre utile per studiare gli effetti delle lenti a contatto sulla cornea e per costruire le stesse lenti.
La topografia corneale è un esame non invasivo, senza contatto con il paziente e che non richiede nemmeno l’uso di colliri.
Il paziente, seduto su di uno sgabello con fronte e mento appoggiati ad apposite strutture, deve fissare per pochi secondi una sorgente luminosa. Per eseguire una topografia corneale si utilizza un topografo corneale, strumento che acquisisce immagini della cornea proiettando sulla sua superficie degli anelli concentrici. Le immagini così ottenute vengono elaborate da un computer in grado di calcolare la curvatura e restituire la mappa della superficie della cornea.
La Topografia corneale altimetrica è un esame di screening utile a tutti ma assolutamente fondamentale per chi ha una diagnosi di sospetto cheratocono (grave patologia che determina la deformazione della cornea) o per chi deve sottoporsi ad un intervento di chirurgia refrattiva è la Topografia corneale altimetrica. Questo esame, che consente di misurare la curvatura della superficie della cornea, è infatti un importante indicatore sia per la qualità ottica sia per la salute di questa sezione dell’occhio.
Viene effettuato tramite uno speciale apparecchio detto topografo corneale costituito da un proiettore di un’immagine luminosa, da una fotocamera digitale e da un software di elaborazione delle immagini.
L’esame è rapido, non necessita l’uso di colliri e non provoca dolore o altri fastidi: l’oculista, dopo aver avvicinato lo strumento all’occhio del paziente, esegue uno scatto come per una normale fotografia. L‘apparecchio acquisisce l’immagine della retina del paziente ed elabora una mappa colorata in cui ogni colore corrisponde a una curvatura più o meno accentuata. Proprio come per la topografia terrestre in cui il blu, che rappresenta il mare, indica la superficie piatta della terra, mentre i rilievi sono indicati dal colore rosso, anche nella topografia corneale i colori freddi corrispondono ai punti più piatti, mentre quelli più caldi a curvature maggiori.
Quando è tutto nella norma la mappa generata dall’esame presenta al centro una sorta di clessidra, che indica la presenza di un astigmatismo fisiologico e che presenta colori più caldi rispetto alla periferia, che invece compare piatta. Per un efficace svolgimento dell’esame occorre sospendere preventivamente l’uso delle lenti a contatto per alcuni giorni.
La Xantelasma è una condizione della pelle palpebrale che si manifesta con la formazione di escrescenze tondeggianti od ovalari, lievemente rilevate e giallastre, distribuite quasi simmetricamente sulla cute della palpebra superiore ed inferiore, a cavallo del canto interno delle palpebre.
Lo xantelasma, la cui evoluzione è lenta e progressiva, colpisce prevalentemente le persone al di sopra dei 50 anni, specie di sesso femminile ed è dovuto a degenerazione xantomatosa degli istiociti. In taluni soggetti gli esami di laboratorio rivelano dislipidemia, diabete, aterosclerosi, ma in altri la crasi ematica risulta perfettamente normale.
L’unica terapia possibile è quella chirurgica, che andrebbe intrapresa prima che la degenerazione sia tanto estesa da richiedere una vera e propria plastica palpebrale.